Parasite Blues

pubblicato su AR Architetti Regione n. 47, marzo 2011, pp. 24-31

Intervista ad Alessandro Zorzetto, a cura di Giovanna Astolfo

Il programma cambia sempre più rapidamente di quanto non facciano gli edifici; in questa discronia si inserisce l’architettura parassitaria sopperendo alle naturali resistenze del costruito. In una realtà europea che preserva1 e cresce poco, nell’ambito di un patrimonio edilizio storico (e moderno) spesso mummificato e di un altrettanto mummificato regolamento edilizio, l’architettura parassitaria, nelle sue molteplici e multiformi soluzioni ad hoc2, costituisce uno degli ultimi spiragli rimasti per fare architettura. Figlia del sentire l’architettura come una “palla al piede”, de-responsabilizzante dato che tutto il significato viene demandato al pre-testo, relegata sempre e comunque al ruolo di amante, l’architettura parassitaria fa parte dei rapidi processi di consumo cui ancora l’architettura ufficiale continua ostinatamente e fastidiosamente ad opporre resistenza. Priva di statuto autonomo, soggiace a regole basilari, come quella di non essere più grande dell’edificio che la ospita, pena il sovvertimento delle gerarchie e la crisi di identità. Con un contenuto di denuncia nei confronti dei limiti dell’architettura e della città, non raramente scivola sul crinale dell’illegalità. L’accezione stessa del termine parassita non è positiva, avendo a che fare con lo sfruttamento delle risorse piuttosto che non con la sua produzione. Nel suo quarto d’ora di celebrità il parassitismo ha l’occasione di mutare il suo appealnegativo pur continuando a preservare la connotazione iconoclasta.

Al di là e oltre l’architettura parassitaria si collocano le opere di Santiago Cirugeda, architetto sivigliano che si occupa prevalentemente di architetture temporanee. Alessandro Zorzetto, architetto friulano che collabora con lo studio, risponde ad alcune domande.

G.A. Non sei d’accordo sul fatto che l’architettura di Cirugeda venga definita parassitaria, nonostante ne abbia tutte le caratteristiche: temporanea, mobile, piccola, sovversiva.. Perché?

A.Z. L’aggettivo parassita dà sicuramente un tono accattivante a questo genere architettonico, soprattutto per la sottintesa vena dissacratoria nei confronti dell’architettura formale classica e contemporanea. Il termine parassita però ha una forte accezione negativa: in biologia il parassitismo è una forma di relazione simbiotica in cui l’organismo parassita sfrutta le risorse dell’ospite provocando un danno biologico. È vero che l’architettura di Recetas Urbanas3 è temporanea, mobile, piccola e sovversiva, ma non dimentichiamoci che si tratta in primis di un processo reversibile, che, come in termodinamica, può essere invertito: le condizioni iniziali possono essere quindi ristabilite senza comportare danni o modifiche. Per definire l’architettura di Cirugeda ricorrendo alla metafora biologica della simbiosi forse sarebbe più indicato il termine mutualismo, in cui la relazione è vantaggiosa per entrambi i simbionti: si tratta infatti di un’architettura che dà forma a delle potenzialità inespresse o che completa l’organismo architettonico su cui si innesta, fornendo ad esempio spazi necessari alla popolazione che non erano stati previsti dal progettista, come accade nell’ampliamento dell’Espai d’Art Contemporani di Castellón (spesso ci si giustifica dicendo che un progetto «non è mai finito»: ecco come una lacuna progettuale può essere colmata da un’altra architettura).

G.A. I progetti di Cirugeda hanno un contenuto critico nei confronti della città; senza diventare necessariamente illegali, riescono a sfruttare dei buchi normativi. Parlaci della tua idea di a-legalità.

A.Z. A livello normativo siamo abituati a distinguere secondo il dualismo legale/illegale ciò che rispettivamente ci è consentito o vietato fare, ignorando le sfumature giuridiche e i cosiddetti vuoti legislativi. Il termine alegale è riferito a questa sfera di incertezza normativa e si pone come termine interstiziale tra legalità ed illegalità. Nell’enciclopedia Treccani il termine alegale è inserito sotto la voce dissenso: alegali sono «quelle forme di contrasto […] che scelgono vie non esplicitamente disciplinate dalle norme» . Gli interventi di Cirugeda vengono spesso da egli stesso definiti alegali in quanto in Spagna tuttora non esistono delle leggi specifiche che regolino questo tipo di costruzioni. Questo modus operandi può essere letto anche come un suggerimento ad aggiornare le normative che regolano l’urbanistica. Esiste un unico progetto dichiaratamente illegale nella carriera di Cirugeda, con lo scopo di contestare il processo di gentrification sottinteso al nuovo Piano Urbanistico di Siviglia.

G.A. Sono state fatte alcune critiche all’installazione di Cirugeda al MAXXI di Roma4: il rischio è di trasformare i container in icone..

A.Z. Il container è un manufatto standardizzato secondo la normativa ISO, che detta delle regole e delle misure ben precise. Progettare con i container significa dunque accettare implicitamente questi principi internazionali, per cui non è possibile ad esempio modificarne la struttura portante e si è costretti ad agire per aggregazione nel momento della composizione architettonica. Il container risulta quindi molto limitante di per sé come strumento per la progettazione. Credo che sia secondario il fatto che il risultato estetico sia piacevole o meno, anche se il container spesso e volentieri seduce le menti dei progettisti e talvolta diviene un’icona trendy. Tra le caratteristiche principali del container, per cui lo reputo un elemento di eccezionale valore, ci sono la versatilità d’impiego e la rapidità di montaggio: è una costruzione che potrebbe essere definita istantanea, un bene di consumo immediato che permette di risolvere rapidamente necessità di primaria importanza, quelle legate all’abitare. È in questo modo che a mio parere deve essere inteso l’utilizzo di questo elemento, ormai inflazionato, nei progetti di Recetas Urbanas. In un certo senso l’architettura viene «cancellata all’interno del sistema», per citare Arata Isozaki. L’installazione al MAXXI di Roma rappresenta il progetto Camion, Containers e Collettivi, che coinvolge numerosi gruppi, collettivi e associazioni con l’obiettivo di creare una rete di spazi autogestiti sul territorio spagnolo.

G.A. Altre critiche vengono da chi non ha particolare fiducia nell’autocostruzione o da chi crede che questo modo di fare architettura, per quanto concettualmente potente nei termini della definizione di una serie di regole urbane, tenda, a livello compositivo, ad una banalizzazione.

A.Z. Il termine informale in architettura sta ad indicare un metodo costruttivo spontaneo, spesso precario e illegale, adottato in genere nelle baraccopoli delle grandi città. Questi insediamenti sono caratterizzati da una totale assenza di piani urbanistici e regole progettuali. Manifestano comunque un’innata capacità di costruire, dato il basso livello di alfabetizzazione nelle aree in questione. L’uomo è dunque per natura dotato di capacità costruttive, che se ben indirizzate possono comportare buoni risultati e originalità. L’autocostruzione diventa allora uno strumento potente, che può accedere ad ampie risorse umane e abbassare notevolmente il costo di costruzione. Conscio del fatto che non si tratta di manodopera specializzata, il team di Recetas Urbanas promuove spesso l’autocostruzione, fornendo un approccio progettuale e costruttivo adeguato alle necessità, attraverso schede di montaggio, corsi sulla sicurezza, progettazione degli impianti, direzione lavori, consulenza per gli aspetti legali e gli eventuali contratti di locazione. Un comune cittadino è coinvolto nella costruzione del proprio alloggio o di una struttura che servirà alla comunità. E, nonostante lo scetticismo di alcuni, con eccellenti risultati, come nel caso del progetto della Casa sul tetto, che prevede l’autocostruzione (reversibile) di un alloggio alegale in affitto senza costi di terreno.

G.A. Ma gli architetti non hanno in mano la “soluzione”, la “ricetta”..

A.Z. In cucina una ricetta è una soluzione per risolvere una necessità primaria, la nutrizione, attraverso una serie di istruzioni su come attuare un processo che trasforma gli ingredienti in un risultato finale il cui valore supera quello degli elementi iniziali. Se trasponiamo questa definizione in architettura e pensiamo al concetto di ricetta applicata alla città, ci accorgiamo che questa rappresenta una delle possibili soluzioni per risolvere una necessità primaria, in questo caso l’abitare. La ricetta urbana esprime dunque una possibilità, un modo per potenziare le capacità di un determinato spazio o luogo. Il fatto che di chef urbani del calibro di Cirugeda non ce ne siano poi così tanti, bè, questo è un altro discorso.

 


 Alessandro Zorzetto, Architetto libero professionista – Pordenone

 Giovanna Astolfo, Architetto, Dottore di Ricerca – Udine

 

NOTE

1 Preservation è il titolo dell’allestimento di Rem Koolhaas alla Biennale di Venezia. Io Donna, 30 ottobre 2010

2 Sotto l’ombrello di architettura parassitaria si annoverano soluzioni eterogenee, dal Bubble di Diller e Scofidio alle scale di emergenza degli edifici. Non una tipologia quindi, ma una prassi di non recente origine. Pur non facendo parte della cultura ufficiale ma della tradizione volgare, ha l’occasione oggi di godere del suo quarto d’ora di celebrità.

3 Santiago Cirugeda, Situaciones Urbanas, Edit. Tenov, Barcelona, 2007.

   Recetas Urbanas, Camiones, Contenedores, Colectivos, Ediciones Vib[ ]k, Siviglia, 2010

   www.recetasurbanas.net

4 Spazio. Dal Corpo alla Città. A cura di P.Ciorra (30 maggio 2010-23 gennaio 2011) Maxxi,Roma.

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